sabato 19 aprile 2014

Lucchini, si spegne l’altoforno

Acciaieria di Piombino. In un'assemblea semideserta, gli operai votano cig, solidarietà e chiusura dell'area a caldo
A capo chino e con il cap­pello in mano, gli ope­rai delle Accia­ie­rie di Piom­bino accet­tano la chiu­sura dell’altoforno, cuore pro­dut­tivo del secondo polo side­rur­gico ita­liano dopo l’Ilva di Taranto. In cam­bio il mini­stero dello svi­luppo eco­no­mico ha dato il suo ok alla pos­si­bi­lità di fare ricorso ai con­tratti di soli­da­rietà per tutti i 2.200 addetti diretti della ex Luc­chini. Ma solo fino alla chiu­sura della pro­ce­dura di ven­dita degli impianti, visto che una nota del mini­stero dello Svi­luppo Eco­no­mico pun­tua­lizza: “Nel periodo suc­ces­sivo all’assegnazione al nuovo sog­getto, saranno uti­liz­zati ammor­tiz­za­tori di tipo con­ser­va­tivo”. Cioè non sol­tanto soli­da­rietà, ma anche cassa integrazione.
Quanto ai circa 1.700 lavo­ra­tori del vasto e fra­sta­gliato indotto della gigan­te­sca cit­ta­della dell’acciaio, il mini­stero gui­dato dalla con­fin­du­striale Fede­rica Guidi ha dato “la dispo­ni­bi­lità all’utilizzo degli ammor­tiz­za­tori sociali per i lavo­ra­tori occu­pati nelle imprese”. Nella migliore delle ipo­tesi, insomma, vanno in cassa inte­gra­zione. Con un ulte­riore pas­sag­gio, gene­rale, ricor­dato dal segre­ta­rio della Uilm locale, Vin­cenzo Renda: “Per­ché que­ste richie­ste siano accolte è neces­sa­rio un inter­vento legi­sla­tivo ad hoc, quindi un decreto del governo”.
Le con­clu­sioni dell’incontro chiuso la scorsa notte al mini­stero dello svi­luppo eco­no­mico, con l’ipotesi di accordo fir­mata dal vice­mi­ni­stro Clau­dio De Vin­centi, dal com­mis­sa­rio gover­na­tivo Piero Nardi e dai rap­pre­sen­tanti di Fim, Fiom e Uilm, sono state rias­sunte ieri mat­tina in una assem­blea di fab­brica che non ha bril­lato per par­te­ci­pa­zione. Di circa quat­tro­mila lavo­ra­tori inte­res­sati, in meno di quat­tro­cento hanno discusso del loro, non certo facile, futuro.
Più in det­ta­glio, fra gli addetti diretti (Luc­chini spa e Luc­chini ser­vizi) ci sono stati 357 votanti, e solo 39 sono stati i pre­senti fra le imprese dell’indotto. E’ arri­vato un via libera quasi una­nime: rispet­ti­va­mente il 97% e l’ 86% di “sì” all’accordo. Però un gruppo di ope­rai ha chie­sto un nuovo refe­ren­dum, dopo le feste pasquali, per­ché siano votate pos­si­bili ini­zia­tive di lotta da mar­tedì, giorno fis­sato per la pro­gres­siva fer­mata dell’altoforno, fino al 30 mag­gio, quando si chiu­derà il bando per le offerte vin­co­lanti all’acquisto dello stabilimento.
Al di là dell’ottimismo di maniera, i pesan­tis­simi con­trac­colpi della fer­mata dell’altoforno — gli addetti dell’area a caldo sono più di un migliaio – sono stati evi­den­ziati anche a Mon­te­ci­to­rio, gra­zie a un inter­vento di Marisa Nic­chi di Sel: “Gli ultimi governi hanno lasciato la Luc­chini in balia del mer­cato. Ora è neces­sa­rio fir­mare subito l’accordo per il rilan­cio indu­striale dell’area, e garan­tire gli ammor­tiz­za­tori sociali”. Sul primo fronte, il mini­stero si sarebbe impe­gnato a inse­rire nell’accordo di pro­gramma, atteso a giorni, una rac­co­man­da­zione per i futuri com­pra­tori a inve­stire in un forno elet­trico e in un nuovo impianto Corex, sfrut­tando i fondi euro­pei per la riqua­li­fi­ca­zione della siderurgia.
Al mas­simo che vada, dopo anni di stop per i lavori, il sito di Piom­bino avrebbe comun­que una capa­cità pro­dut­tiva (ben) più limi­tata di quella garan­tita da un alto­forno fun­zio­nante. Nel frat­tempo, durante lo sman­tel­la­mento dei vec­chi impianti e la boni­fica dell’area, c’è l’ipotesi di far lavo­rare gli ope­rai in esu­bero e le stesse imprese dell’indotto. “Nes­sun paese euro­peo – tira ama­ra­mente le somme il piom­bi­nese Ales­san­dro Favilli, segre­ta­rio toscano di Rifon­da­zione – perde la side­rur­gia come fa l’Italia. Que­sto è un accordo al ribasso, con la sud­di­tanza del sin­da­cato al Pd e a Con­fin­du­stria, che nel com­parto dell’acciaio vuol dire Mar­ce­ga­glia. Piom­bino è lo spec­chio di quello che ha signi­fi­cato un tempo la lotta di classe, e della scon­fitta del movi­mento ope­raio in que­sta fase”.

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