-Il Tirreno-
di CRISTIANO LOZITO ven 18 apr, 2014
Immaginare Piombino che smette di produrre acciaio dopo 150 anni, oggi che siamo alle ultime colate dell’altoforno, è straziante, pensando al ruolo che la città-fabbrica ha esercitato nel Paese, specie dal dopoguerra in avanti, e al benessere che la Fabbrica ha portato ai piombinesi, pur col suo carico di contraddizioni (i morti sul lavoro, i danni all’ambiente, alla salute), sempre più evidente nel tempo. Questo presente doloroso però impone di leggerne le cause e soprattutto di guardare a un futuro tutto da scrivere.
La crisi dell’acciaio, la sovracapacità produttiva in Europa, le enormi perdite dello stabilimento piombinese non sono un’invenzione. Ma certo colpisce che un Paese come il nostro, dove la crisi dell’Alitalia divenne una questione patriottica tanto che il governo fece appello a capitalisti e imprenditori per il suo salvataggio, la chiusura di fatto della seconda fabbrica siderurgica italiana sia stata vissuta dai vertici della politica e del sindacato come un evento ineluttabile.
Colpisce come i numeri di questa crisi – le migliaia di persone che rischiano per lungo tempo di restare aggrappate agli ammortizzatori sociali – non abbiamo contribuito a costituire, là dove le decisioni vere vengono assunte, un fronte capace quanto meno di contrattare nel modo meno doloroso possibile il traghettamento verso un futuro tutto da costruire. Protagonisti di una vicenda così enorme – condita dalla tragica illusione del progetto arabo della Smc, sparita dallo scenario dopo annunci e promesse – un sindaco di una piccola città e i sindacati locali. Qualche comparsata dei vertici di Cgil, Cisl e Uil (Camusso, Bonanni e Angeletti alla manifestazione dei diecimila), poche e lapidarie dichiarazioni di solidarietà dei vertici del Pd, poi più nulla. Solo il presidente Enrico Rossi, a un livello più alto, a lavorare per costruire un Accordo di programma che non sia una scatola vuota. Insomma, a fare politica, nel senso vero della parola.
Così, al di là della trattativa sugli ammortizzatori sociali, pur fondamentale in questa fase, l’Accordo di programma è rimasto l’ultima scialuppa per approdare a un futuro che guardi a un vero sviluppo. Perché il timore generale, neppure malcelato, è che una volta firmato questo documento la città rimanga sola, per sempre. Che una volta messi un po’ di soldi nell’Accordo, con qualche scivolo per i prepensionamenti, la città poi si debba arrangiare. E invece Piombino non può e non merita di essere abbandonata: perché questa città e questo territorio sono un simbolo della Toscana che produce, qui ci sono grandi potenzialità, alla Lucchini e nelle imprese c’è una forza lavoro giovane e con delle professionalità da spendere.
Allora, senza vittimismo, lo Stato deve fare di più anche in termini di risorse per le bonifiche, e rispondere positivamente ad esempio alla proposta del governatore Rossi, e cioè che il Demanio ponga a disposizione del Comune a costo zero delle aree per investimenti produttivi, così da attrarre imprenditori, con la Regione stessa impegnata ad aggiungere tutti gli strumenti disponibili, come gli incentivi per l’abbattimento dell’Irap e fondi finalizzati alla realizzazione di nuove imprese.
La decisione presa ieri al ministero dello Sviluppo economico, di costituire una cabina di regia sulle prospettive occupazionali, sembra un buon punto di partenza, così come l’ipotesi di affidare ai lavoratori gli interventi di infrastrutturazione e di bonifica ambientale. Tutto per raggiungere l’obiettivo, pur con i tempi lunghi di realizzazione di un forno elettrico, di un Corex e di un polo di rottamazione delle grandi navi, di un sistema economico non più monoculturale, più bilanciato tra industria e terziario, ambientalmente compatibile, nel segno dell’innovazione tecnologica.
Nessun commento:
Posta un commento