Anselmi «Restiamo all’avanguardia»
Siderurgia e ambiente: il sindaco Anselmi dal sogno arabo all’Accordo di programma
di Alessandro De Gregorio
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«Restiamo all’avanguardia»
PIOMBINO. Il 25 maggio scadrà il suo secondo mandato come sindaco. Cinque giorni dopo si chiuderà il bando per la vendita della Lucchini. Il sogno arabo, quel Khaled al Habahbeh che voleva coprire d’oro la città, per Gianni Anselmi era diventato un incubo. Ma l’altroieri (poche ore dopo la fermata dell’altoforno) Anselmi è tornato da Palazzo Chigi con un osso in bocca, l’Accordo di programma. Progetti al posto dei sogni.
Beppe Grillo definisce l’Accordo «tardivo, solo slogan e pochi spiccioli».
«Questo accordo ha due limiti. Arriva nelle ore della fermata dell’Afo e a 20 giorni dalla tornata elettorale. Io mi occupo solo del primo limite».
Anche alle assemblee qualcuno ha definito l’Accordo una scatola vuota.
«Basta leggerlo, c’è uno schema comprensibile di linee e azioni in grado di rendere appetibile l’investimento nell’azienda in coerenza con il protocollo d’intesa del 16 gennaio».
Il governatore Rossi ha spronato la classe imprenditoriale a farsi avanti.
«Ha ragione. Ma ora bisogna aspettare che si chiuda la procedura Lucchini. Ci sono manifestazioni di interesse di cui una che fa riferimento a Corex e forno elettrico. Ma anche altri potrebbero fare offerte vincolanti. Il nostro compito era mettere in campo un progetto di riassetto industriale e strumenti di sostegno per stimolare investimenti».
Ora che gli scenari sono cambiati, potrebbe rientrare anche la Duferco?
«Non lo so, ma so che Duferco era interessata solo ai laminatoi. Noi abbiamo bisogno che qualcuno compri la Lucchini con un piano industriale adeguato».
Non è possibile un intervento statale?
«Lo Stato deve rendere competitivo il territorio ma non può entrare nella gestione. Alla parte pubblica compete creare le condizioni per gli investimenti: bonifiche, contributi, agevolazioni, infrastrutture. I privati devono fare la loro parte. Ma si ha una plausibile convinzione che i privati possano rispondere».
Qual è il punto forte dell’Accordo?
«Ciascun segmento ha una sua forza autonoma: la parte industriale con l’innovazione siderurgica, la parte della rottamazione che può dialogare con la prima; il refitting; la diversificazione; la parte annosa delle bonifiche».
E il punto debole?
«Lo avremmo nel momento in cui non si concretizzassero gli interessi industriali».
E magari i tempi.
«Vero. Per questo è fondamentale la cabina di regia. Ed entro tre mesi va redatto il Prri, programma di riconversione e riqualificazione industriale. Prima e meglio si fanno queste cose, prima e meglio si coinvolgono i privati».
Fanno paura la cassa integrazione e la sua durata.
«Lo so, ma sugli ammortizzatori sociali l’assessore Simoncini, il sindacato e il ministero stanno facendo un gran lavoro».
A giorni i sindacati incontreranno le imprese dell’indotto per cercare di convincerle a restare sul territorio.
«Qui i tempi sono importantissimi. Bisogna abbreviare la traversata ristrutturando il personale, formandolo».
La Concordia non è nell’Accordo.
«No, ma la logica ci suggerisce che non siamo ancora fuori corsa. Non vedo come potrebbe andare in Turchia visto che il Vanguard prima di autunno non è disponibile. E in autunno anche il nostro porto sarà pronto. Genova spinge, ma dista cinque giorni di navigazione in condizioni di mare calmo. In autunno?».
La comparsa sulla scena di Smc ha distolto attenzione e fatto perdere tempo?
«No. L’Accordo noi lo avevamo chiesto prima di Natale. Khaled al Habahbeh è arrivato a gennaio».
Però ha creato forti aspettative se non illusioni.
«Questo purtroppo è vero. Ma non ha avuto alcuna interferenza sui tempi».
Il 30 maggio è vicino. Ipotizziamo che ci siano offerte concrete. Quali previsioni in termini di riconversione, realizzazione impianti, formazione, bonifiche...?
«Dipende da molti fattori, tra cui la rapidità dei nuovi acquirenti nel presentare piano industriale e piano di trasformazione, ma anche nella celerità nel chiedere l’accesso ai contributi».
Un orizzonte temporale?
«Diciamo tre anni».
In questo tempo verrebbero persi posti di lavoro.
«C'è da augurarsi di no, ma non si può escluderlo. Penso ad alcune imprese colpite subito dalla fermata dell’area a caldo come la Sol e alle altre che si basavano sul gas dell’altoforno. A proposito di energia, nell’Accordo c'è la possibilità di consorziare le imprese siderurgiche per l’acquisto dell’energia alle migliori condizioni. Lo abbiamo fatto inserire pensando a Enel e Magona».
Corex e forno elettrico. Dove?
«Lontani. Il piano regolatore parla chiaro. Il problema è trasferire le colate, ci vogliono almeno 300 milioni. Però si possono aiutare gli investimenti valorizzando le aree liberate, alleviando gli oneri ecc. E qui ci vuole capacità di governo. La cabina di regia, insomma».
Si parla di siderurgia ambientalmente compatibile; ma anche di smantellamento navi, attività di un certo impatto. Molti timori sono legati al turismo balneare.
«Timori legittimi ma che dovrebbero essere affrontati con serenità. Facciamo 800mila presenze turistiche, con la Val di Cornia due milioni e 300mila, pur avendo avuto fino a oggi un polo siderurgico in quelle condizioni e la più grande centrale termoelettrica della Toscana. Dobbiamo accogliere questa sfida vincendola. Senza tornare a pagare un prezzo ambientale per il pane. Oggi la normativa europea impone di creare poli specializzati in assoluta sicurezza. Abbiamo insegnato al mondo come si fa la siderurgia e dobbiamo restare all’avanguardia, con un nuovo paradigma ambientale. Non possiamo prescindere dall’industria. Non ci sono gli spazi per puntare solo sulle spiagge, che peraltro non sono ampie come quelle di Rimini».
26 aprile 2014
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