La Nazione- gio 24 apr, 2014
C’È VOLUTO l’appello di Papa Francesco per accendere i riflettori sul dramma di migliaia di operai e di famiglie. Con parole semplici e giuste il Pontefice ha parlato di dignità del lavoro e ha chiamato le istituzioni a prendere provvedimenti. I tg nazionali hanno rilanciato le notizie che pubblichiamo da mesi nelle nostre cronache e intorno a Piombino si è aperto finalmente un fronte che chiama in causa il governo e le forze politiche. Attenzione però, la luce resterà accesa per poco, il «circo mediatico» ha continuamente bisogno di nuove storie e domani l’interesse di queste ore potrebbe presto affievolirsi.
VA BENISSIMO il passaggio dei tg, ma servono soprattutto gli atti concreti, le firme sui documenti per gli ammortizzatori sociali e l’Accordo di Programma con le bonifiche (il ministero dell’ambiente ieri ha promesso 50 milioni) e la riqualificazione industriale. A meno di un clamoroso colpo di scena, l’altoforno verrà spento e al di là dei sogni bisognerà fare i conti con la realtà, individuando un progetto che mantenga il massimo di occupazione e dia un futuro industriale a Piombino.
PERCHÉ la politica ha sicuramente molte responsabilità, ma per essere chiari, a far fallire le Acciaierie Lucchini non sono stati i politici. In questi giorni tutti hanno chiamato in causa ministri e partiti, nessuno ha ricordato che Lucchini ha venduto le Acciaierie ai russi di Severstal e che con una strana operazione, dopo aver avuto buoni guadagni, la stessa Severstal ha ceduto l’azienda ad una «bad company» carica di passività. Da qui è iniziato il declino. Lucchini è stata per anni senza una vera guida e ha continuato ad accumulare debiti fino al commissariamento avvenuto nel dicembre 2012.
Il tutto nel mezzo alla «tempesta perfetta» della più grave crisi globale dopo quella del 1929. Se le responsabilità oggettive sono dell’impresa, la politica che ha avuto il torto di non avere una visione industriale del Paese. Siamo la seconda manifattura d’Europa, ma se lasciamo chiudere tutte le fabbriche diventeremo presto l’ultima. L’acciaio non è solo una tradizione e non è solo pane per una città: è anche un elemento strategico per l’Italia. Chiudere lo stabilimento non significa perdere solo la produzione, ma anche il saper fare di operai specializzati, una cultura tecnica che non si improvvisa.
Nessun commento:
Posta un commento