Imprese in fuga dalla gara per Lucchini
Sole24Ore 6/3/2014 Matteo Meneghello
La corsa per gli asset Lucchini perde una delle protagoniste. I rappresentanti della cordata Duferco-Feralpi-Acciaierie venete hanno ufficializzato l'intenzione di non presentare un'offerta per il bando.
Ieri mattina, dopo un incontro con il commissario Piero Nardi, hanno comunicato che, nonostante avessero manifestato il loro interesse lo scorso 7 gennaio, «non ravvisano ci siano le condizioni ambientali su Piombino per proseguire oltre nella procedura di cessione avviata». Pertanto la cordata italiana non presenterà, alla data fissata dalla procedura (il 10 marzo) alcuna offerta vincolante. La decisione è da ricondurre alle aspettative del territorio piombinese all'indomani della presentazione di una manifestazione di interesse per Piombino e Lecco da parte della tunisina Smc. Il gruppo nordafricano ha annunciato nelle scorse settimane l'intenzione di investire 1,5 miliardi nel sito, mantenendo attivo l'altoforno (opzione, quest'ultima, esclusa da tutte le altre manifestazioni di interesse giunte sul tavolo di Nardi).
Le intenzioni di Smc hanno incontrato fin da subito l'interesse e il favore di parte delle istituzioni, dei rappresentanti dei lavoratori e della popolazione (a Piombino Lucchini dà lavoro a 2mila persone, senza l'altoforno rischiano il posto un migliaio di addetti, senza contare l'indotto). Ad oggi, però, la due diligence e la successiva presentazione di un memorandum of understanding da parte di Smc non hanno sciolto i dubbi del commissario sulla reale capacità finanziaria dei tunisini. Pochi giorni fa Nardi ha definito «irricevibili» le richieste di Smc (pur non escludendola dalla gara). Ma Piombino crede ancora in un futuro per l'altoforno. «Il territorio crede che sia possibile mantenere attivo l'altoforno a Piombino, ma noi non lo pensiamo e il nostro piano industriale non lo prevede – spiega Antonio Gozzi, presidente di Duferco –. È necessaria una presa di coscienza da parte il territorio, che oggi non c'è».
Ieri i sindacati hanno replicato duramente alla notizia: «A suo tempo – si legge nella nota congiunta di Fim, Fiom, Uilm della provincia di Livorno e Rsu Lucchini – abbiamo appreso dalla stampa che Duferco e FerAlpi erano interessate allo stabilimento Lucchini, senza mai manifestarsi formalmente, quindi senza sapere le loro vere intenzioni. Oggi, apprendiamo da un comunicato che la cordata ha deciso di non presentare l'offerta per verosimili questioni ambientali, non specificate.Non si capisce». Il fronte sindacale, poi sottolinea di avere «sempre chiesto pari dignità alle proposte. Abbiamo sempre sostenuto il mantenimento del ciclo integrale – si legge in una nota unitaria –, che anche oggi può essere un valore: produrre a Piombino acciaio di bassa qualità sarebbe perdente. Il sindacato con le istituzioni è per andare avanti su un futuro accordo di programma che preveda una siderurgia ecocompatibile e che preveda il mantenimento dell'occupazione e della produzione».
Ma le tensioni sulla piazza piombinese (dopo uno sciopero, lunedi mattina, Fim-Fiom-Uilm hanno chiesto e ottenuto un incontro al Mise, fissato per oggi, per discutere del futuro del sito e del destino dell'altoforno) stanno inevitabilmente impattando sulla platea delle realtà interessate a Piombino. Oltre alla cordata italiana, ora fuori dai giochi (salvo ripensamenti o possibilità di rientrare in caso di proroga del bando), anche il fondo svizzero Klesch, fino a pochi giorni fa orientato alla presentazione di un'offerta vincolante, starebbe riconsiderando la sua posizione. Dovrebbero avere definitivamente rinunciato a presentare un'offerta anche gli indiani di Jindal steel. Smc, nonostante lo scetticismo dell'ambiente siderurgico italiano, parrebbe invece intenzionata a proseguire e presentare un'offerta, sulla base dello schema, riveduto e corretto, del memorandum of understanding respinto da Nardi nei giorni scorsi. Per supportare finanziariamente l'offerta la società dovrebbe procedere ad un aumento di capitale entro la settimana.
Secondo i sindacati «oggi appare ancor più necessario mantenere in vita l'altoforno, il quale, con una dovuta manutenzione, oggi obbligatoria, può andare avanti altri 3-4 anni».
Ieri mattina, dopo un incontro con il commissario Piero Nardi, hanno comunicato che, nonostante avessero manifestato il loro interesse lo scorso 7 gennaio, «non ravvisano ci siano le condizioni ambientali su Piombino per proseguire oltre nella procedura di cessione avviata». Pertanto la cordata italiana non presenterà, alla data fissata dalla procedura (il 10 marzo) alcuna offerta vincolante. La decisione è da ricondurre alle aspettative del territorio piombinese all'indomani della presentazione di una manifestazione di interesse per Piombino e Lecco da parte della tunisina Smc. Il gruppo nordafricano ha annunciato nelle scorse settimane l'intenzione di investire 1,5 miliardi nel sito, mantenendo attivo l'altoforno (opzione, quest'ultima, esclusa da tutte le altre manifestazioni di interesse giunte sul tavolo di Nardi).
Le intenzioni di Smc hanno incontrato fin da subito l'interesse e il favore di parte delle istituzioni, dei rappresentanti dei lavoratori e della popolazione (a Piombino Lucchini dà lavoro a 2mila persone, senza l'altoforno rischiano il posto un migliaio di addetti, senza contare l'indotto). Ad oggi, però, la due diligence e la successiva presentazione di un memorandum of understanding da parte di Smc non hanno sciolto i dubbi del commissario sulla reale capacità finanziaria dei tunisini. Pochi giorni fa Nardi ha definito «irricevibili» le richieste di Smc (pur non escludendola dalla gara). Ma Piombino crede ancora in un futuro per l'altoforno. «Il territorio crede che sia possibile mantenere attivo l'altoforno a Piombino, ma noi non lo pensiamo e il nostro piano industriale non lo prevede – spiega Antonio Gozzi, presidente di Duferco –. È necessaria una presa di coscienza da parte il territorio, che oggi non c'è».
Ieri i sindacati hanno replicato duramente alla notizia: «A suo tempo – si legge nella nota congiunta di Fim, Fiom, Uilm della provincia di Livorno e Rsu Lucchini – abbiamo appreso dalla stampa che Duferco e FerAlpi erano interessate allo stabilimento Lucchini, senza mai manifestarsi formalmente, quindi senza sapere le loro vere intenzioni. Oggi, apprendiamo da un comunicato che la cordata ha deciso di non presentare l'offerta per verosimili questioni ambientali, non specificate.Non si capisce». Il fronte sindacale, poi sottolinea di avere «sempre chiesto pari dignità alle proposte. Abbiamo sempre sostenuto il mantenimento del ciclo integrale – si legge in una nota unitaria –, che anche oggi può essere un valore: produrre a Piombino acciaio di bassa qualità sarebbe perdente. Il sindacato con le istituzioni è per andare avanti su un futuro accordo di programma che preveda una siderurgia ecocompatibile e che preveda il mantenimento dell'occupazione e della produzione».
Ma le tensioni sulla piazza piombinese (dopo uno sciopero, lunedi mattina, Fim-Fiom-Uilm hanno chiesto e ottenuto un incontro al Mise, fissato per oggi, per discutere del futuro del sito e del destino dell'altoforno) stanno inevitabilmente impattando sulla platea delle realtà interessate a Piombino. Oltre alla cordata italiana, ora fuori dai giochi (salvo ripensamenti o possibilità di rientrare in caso di proroga del bando), anche il fondo svizzero Klesch, fino a pochi giorni fa orientato alla presentazione di un'offerta vincolante, starebbe riconsiderando la sua posizione. Dovrebbero avere definitivamente rinunciato a presentare un'offerta anche gli indiani di Jindal steel. Smc, nonostante lo scetticismo dell'ambiente siderurgico italiano, parrebbe invece intenzionata a proseguire e presentare un'offerta, sulla base dello schema, riveduto e corretto, del memorandum of understanding respinto da Nardi nei giorni scorsi. Per supportare finanziariamente l'offerta la società dovrebbe procedere ad un aumento di capitale entro la settimana.
Secondo i sindacati «oggi appare ancor più necessario mantenere in vita l'altoforno, il quale, con una dovuta manutenzione, oggi obbligatoria, può andare avanti altri 3-4 anni».
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