dal post di ALESSANDRO DE GREGORIO Giornalista del TIRRENO
questa portineria ha visto passare generazioni di uomini e donne. dentro, fumo e sudore. e sangue. fuori, pane e companatico. siamo nati o diventati piombinesi anche grazie a questa fabbrica, che abbiamo amato e odiato al tempo stesso come una madre generosa ma severa. ci ha fatto prosperare per decenni, per lungo tempo ci ha anche avvelenato. ci ha rubato un pezzo di spiaggia, si è divorata un intero territorio, ha imbrattato lenzuola e polmoni con lo spolverino. prima che chiudessero la cokeria. prima che le centraline facessero davvero il loro dovere. prima che si formasse anche una coscienza ambientale. ci ha tolto tanto, "lo stabilimento". ma ci ha dato anche tanto. tipo il benessere.
io non ci sono mai voluto entrare, almeno non con la tuta. ho avuto la fortuna di poter scegliere. ma ci sono cresciuto là dentro dove lavoravano mio padre, i miei zii, i miei cugini, mio nonno, i miei amici. e ho sviluppato un fortissimo senso del rispetto per l'operaio. per quello che rappresentava e quello che faceva. e per come lo faceva.
ci sono tornato anche come giornalista, davanti a questa portineria. senza più la bicicletta e la panierina da consegnare a babbo, ma con la penna e il bloc notes. e senza poter più varcare quella soglia. in quei giorni il mio giornale si occupava di morti sul lavoro e di inquinamento. la direzione fece tappezzare la città di manifesti, ci accusava di raccontare bugie. invece le bugie le raccontavano altri e hanno continuato a farlo, insultando una città e saccheggiando tutto quel che c'era da saccheggiare. un capitano d'industria dopo l'altro.
poi le acciaierie sono fallite. per una somma di responsabilità e di incapacità, sia manageriali che finanziarie che politiche, assai più determinanti delle congiunture di mercato e dei luoghi comuni sugli operai vagabondi e sui sindacati venduti.
e siamo a oggi. oggi da quella portineria escono volti smarriti. oggi non si riesce a pronunciare la parola "domani". sono, siamo tutti in apnea. a parte i cretini che riescono a ridere in momenti come questo. e a speculare. devono averne respirato troppo, di spolverino, a suo tempo.
se avessi un dio lo pregherei per questa portineria, per la mia città. ma forse sarei cretino anch'io. e allora non ci resta che aspettare.
io non ci sono mai voluto entrare, almeno non con la tuta. ho avuto la fortuna di poter scegliere. ma ci sono cresciuto là dentro dove lavoravano mio padre, i miei zii, i miei cugini, mio nonno, i miei amici. e ho sviluppato un fortissimo senso del rispetto per l'operaio. per quello che rappresentava e quello che faceva. e per come lo faceva.
ci sono tornato anche come giornalista, davanti a questa portineria. senza più la bicicletta e la panierina da consegnare a babbo, ma con la penna e il bloc notes. e senza poter più varcare quella soglia. in quei giorni il mio giornale si occupava di morti sul lavoro e di inquinamento. la direzione fece tappezzare la città di manifesti, ci accusava di raccontare bugie. invece le bugie le raccontavano altri e hanno continuato a farlo, insultando una città e saccheggiando tutto quel che c'era da saccheggiare. un capitano d'industria dopo l'altro.
poi le acciaierie sono fallite. per una somma di responsabilità e di incapacità, sia manageriali che finanziarie che politiche, assai più determinanti delle congiunture di mercato e dei luoghi comuni sugli operai vagabondi e sui sindacati venduti.
e siamo a oggi. oggi da quella portineria escono volti smarriti. oggi non si riesce a pronunciare la parola "domani". sono, siamo tutti in apnea. a parte i cretini che riescono a ridere in momenti come questo. e a speculare. devono averne respirato troppo, di spolverino, a suo tempo.
se avessi un dio lo pregherei per questa portineria, per la mia città. ma forse sarei cretino anch'io. e allora non ci resta che aspettare.
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