La classe operaia non va in paradiso
Dall’illusione araba alla cassa integrazione: alcune testimonianze di chi vive il dramma sulla propria pelle
di Alessandro De Gregorio
PIOMBINO. Ha sognato di andarci davvero, in paradiso. Ha accarezzato l’idea di un’acciaieria nuova, pulita, produttiva, generosa. Poi la classe operaia ha fatto i conti con la realtà, soprattutto con i silenzi di quel gruppo arabo che si è manifestato e poi è sparito. E che potrebbe rientrare, certo. Ma ci vorrebbe un miracolo, mentre “paradiso” e “miracolo” in questi giorni sono stati sostituiti da altri vocaboli: “ammortizzatori sociali” e “cassa integrazione”. Siamo più nel purgatorio, se non già all’inferno.
Abbiamo chiesto a tre operai come vivono sulla propria pelle queste ore di angoscia. Sapendo di fare una domanda stupida, abbiamo ricevuto risposte intelligenti: niente vittimismo, pietismo, demagogia. Solo del sano realismo. E tanta, tanta preoccupazione.
Davide Demi, per esempio. Ha 42 anni, una figlia di 7 e una moglie che insegna in una scuola materna. Da diciannove anni Demi lavora alla Lucchini. E’ cabinista alla colata continua, elettricista specializzato, quinto livello super: «Con la cig prenderò 900-930 euro, sono fortunato, è il massimo. Ho ancora tre anni di mutuo, intaccheremo il poco che avevamo messo da parte. La mia vera preoccupazione è per quei ragazzi che non hanno una professionalità in mano. Il clima in fabbrica? Quasi surreale. La preoccupazione è palpabile ma ad esempio domani (oggi, ndr) abbiamo la manutenzione, sono arrivati i motori nuovi da montare e se ne parla come se fosse tutto normale, come se fra qualche giorno non dovesse succedere niente. Si continuano a sistemare le cose, gli impianti, come se dovessero andare avanti chissà quanto».
Demi ricorda che «fino all’estate del 2008 si battevano tutti i record, con sessanta colate, cioè settemila tonnellate di acciaio, al giorno. A novembre eravamo col culo per terra. Poi il lento e inesorabile declino. La gente che aveva fatto progetti e acceso mutui è rimasta con un pugno di mosche in mano».
Gian Luca Rombai ha 46 anni, vive con la compagna a Venturina. Lavora al Pre, dove vengono stoccati i minerali per l’approvvigionamento dell’altoforno. «Imbocco l’Afo - scherza - Lavoro alle acciaierie da dodici anni, prima come elettricista al porto e ora all’Afo. Ho fatto mille mestieri in precedenza, anche nel settore turistico e assicurativo. Le acciaierie mi avevano dato stabilità, la certezza di poter contare su uno stipendio. Non ho idea di quanto prenderò come cassintegrato, forse circa 900 euro, sei-settecento in meno di adesso. Per fortuna non ho debiti ma la vita mi cambierà eccome. Ad esempio addio viaggi, la mia grande passione. Per me il lavoro non è il centro della vita ma ora ho un senso di frustrazione, non mi sento più utile. Non mi ci vedo a passare la giornata a casa senza far niente. Domani? Cercherò di trovare un altro lavoro in zona, ma non escludo di andare all’estero».
Vincenzo Tuvè, 43 anni, sanvincenzino: la moglie lavora in una cooperativa, hanno un figlio di 12 anni e una figlia di 6. Dal 2002 Tuvè lavora alla fossa, in acciaieria, come gruista manovratore. Anche per lui la prospettiva è di guadagnare poco più di 900 euro: «Abbiamo già tagliato un po' tutto, comprese pizze e piccoli vizi, per pagare il mutuo della casa, le rate della macchina, le bollette eccetera. Ora rinunceremo anche a Sky e al telefono di casa, ma non so davvero cos’altro potremo eliminare. In fabbrica? E’ un misto di delusione, smarrimento, disperazione, incazzatura. Ci dicono una cosa e il giorno dopo sui giornali ne leggiamo un’altra. Sembra un film e non sappiamo più a chi credere. Sono confuso anch’io. Cosa farò? E chi lo sa... Da giovane ho lavorato anche a Modena e Verona. Ma non avevo famiglia. E poi chi mi assume a 43 anni?».
28 marzo 2014
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