Ex Lucchini, fra indiani e algerini spunta
la proposta dei bresciani
Sul tavolo un’offerta per realizzare a Piombino un impianto di «preridotto»
Quasi cinquecento aziende scomparse in nove mesi. Per decriptare il breve passaggio sulla siderurgia lanciato lunedì mattina alla Palazzoli da Matteo Renzi al minuto 24 del suo lungo intervento sul futuro manifatturiero dell’Italia bisogna partire da lì. Dallo stato dell’arte. E cioè dalla crisi sistemica di un comparto, quello dell’industria dei metalli, che da cinque anni ha smesso di generare margini e profitti.
«Da Taranto a Brescia passando per Piombino - ha detto il premier agli industriali riuniti in assemblea - o il sistema paese avanza una proposta per uscire dall’impasse in cui ci troviamo, o non ci sarà modo di garantire un futuro alla siderurgia italiana».
Serve dunque «una proposta sistemica». Eccola: un’alleanza fra i siderurgici bresciani e gli indiani di Jindal per costruire un impianto di produzione di preridotto , la spugna di ferro che si ricava trattando il minerale con il gas anziché con il coke. La proposta era nell’aria - c’è chi dice che i siderurgici bresciani ne avessero già discusso col premier -, ma ieri è stato lo stesso presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, a confermarla: secondo Siderweb si tratterebbe della costruzione di due impianti per la produzione di preridotto, ciascuno della capacità di 2,5 milioni di tonnellate, in grado di alimentare il nuovo forno elettrico da 1,2 milioni di tonnellate che Jindal costruirebbe a Piombino, nonché di servire gli stabilimenti bresciani, permettendo a questi ultimi di diversificare l’approvvigionamento da rottame il cui prezzo, a differenza del minerale di ferro, è schizzato alle stelle.
«Da Taranto a Brescia passando per Piombino - ha detto il premier agli industriali riuniti in assemblea - o il sistema paese avanza una proposta per uscire dall’impasse in cui ci troviamo, o non ci sarà modo di garantire un futuro alla siderurgia italiana».
Serve dunque «una proposta sistemica». Eccola: un’alleanza fra i siderurgici bresciani e gli indiani di Jindal per costruire un impianto di produzione di preridotto , la spugna di ferro che si ricava trattando il minerale con il gas anziché con il coke. La proposta era nell’aria - c’è chi dice che i siderurgici bresciani ne avessero già discusso col premier -, ma ieri è stato lo stesso presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, a confermarla: secondo Siderweb si tratterebbe della costruzione di due impianti per la produzione di preridotto, ciascuno della capacità di 2,5 milioni di tonnellate, in grado di alimentare il nuovo forno elettrico da 1,2 milioni di tonnellate che Jindal costruirebbe a Piombino, nonché di servire gli stabilimenti bresciani, permettendo a questi ultimi di diversificare l’approvvigionamento da rottame il cui prezzo, a differenza del minerale di ferro, è schizzato alle stelle.
Ora, però, in attesa di comprendere meglio i particolari dell’operazione, sarà lotta contro il tempo. Ieri a Roma, infatti, sultavolo del viceministro allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti, si è materializzata la conferma della solidità delle due proposte straniere per l’ex Lucchini. Da un lato quella che per il commissario Piero Nardi sarebbe la più conveniente, vale a dire il progetto degli algerini di Cevital, che promettono la costruzione di due forni elettrici da un milione di tonnellate l’uno e l’ampliamento della zona laminazione. Dall’altro la proposta indiana che, allo stato attuale, è ferma nell’impegno di acquisire solamente i laminatoi garantendo così l’occupazione per soli 750 dipendenti.
C’è tempo fino al 15 novembre per prendere una decisione ma, intanto, in Valpadana non si è stati a guardare. L’Italia, e l’Europatutta, sono alle prese con una dura gatta da pelare, la sovracapacità produttiva. E, in mancanza dei finanziamenti per un nuovo piano Davignon che alimenti la razionalizzazione (niente aiuti di Stato, ripete Bruxelles), sarà il mercato a fare il lavoro sporco. Se la parola chiave, da questo punto di vista, è ristrutturare, ora le manovre per spartirsi ciò che rimarrà dei 24 milioni di tonnellate di acciaio prodotto nel 2013 entrano nella sfera della geopolitica. Che, per l’elettrosiderurgia bresciana, significa mettere fuori gioco i competitor algerini, con i quali non si condivide solo il prodotto, cioè il tondo, ma anche il mercato, cioé il Mediterraneo. «Risolvere il problema di Piombino con Cevital significa crearne uno cinque volte più grande a Brescia» aveva detto al Sole 24Ore qualche giorno fa Gozzi. Dunque la contromossa: «sistemica», appunto, come da desiderata del premier.
E, di questa inedita alleanza fra indiani e tondinari, potrebbe fare da garante, con un finanziamento per un periodo limitato, la Cassa depositi e prestiti. Non acciaio di Stato, ma quasi.
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