Condannati 28 dirigenti dell’Ilva
8 anni e mezzo per Pietro Nardi
attuale commissario della Lucchini
- 23 maggio 2014
- 13.41
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Una manifestazione per la chiusura dell’Ilva a Taranto, il 17 agosto 2012. (Carlo Hermann, Afp)
Il giudice della seconda sezione penale del tribunale di Taranto Simone Orazio ha condannato in primo grado 28 imputati per disastro ambientale ed omicidio colposo per la morte di una ventina di operai, ammalati di cancro per l’esposizione all’amianto. Con una condanna da quattro a nove anni e mezzo, sono stati condannati alcuni ex manager e direttori generali dello stabilimento siderurgico di Taranto Italsider/Ilva. Il gruppo Riva, infatti, acquistò l’acciaieria dallo stato nel 1995. I crimini contestati agli imputati risalgono sia al periodo di gestione pubblica dello stabilimento, sia alla gestione privata.
La pena più alta, nove anni e mezzo, è andata al manager Sergio Noce, nove anni al suo collega Gianbattista Spallanzani e nove anni e due mesi ad Attilio Angelini, accusati di disastro ambientale e ventuno omicidi colposi, per la morte per mesiotelioma di operai venuti in contatto con fibre di amianto. Ad otto anni e mezzo sono stati condannati Pietro Nardi e Giorgio Zappa, ex dirigenti di Finmeccanica.
Fra gli imputati c’era anche il proprietario dell’Ilva Emilio Riva, morto il 30 aprile 2014, Fabio Riva e l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, entrambi condannati a sei anni di reclusione.
Secondo l’accusa l’amianto fu usato in maniera massiccia nello stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande d’Europa, ed è ancora oggi una sostanza presente in alcuni impianti dell’Ilva. Nel corso degli anni gli operai non furono formati e informati sui rischi dell’amianto, non ricevettero sufficienti visite mediche e tutele per la loro salute entrando in contatto con la pericolosa sostanza che in molti caso ha causato gravi malattie e la morte.
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