sabato 31 maggio 2014

Piatto d’acciaio. Eurozona e crisi della siderurgia*

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METAL_start_special_topicsLa crisi della siderurgia costituisce uno snodo cruciale della crisi europea. Il piano d’azione stilato a giugno dalla Commissione Europea individua nella concorrenza cinese uno dei problemi principali del settore:
Attualmente l’industria siderurgica cinese rappresenta quasi il 50 % della produzione globale di acciaio e la Cina è il maggior esportatore mondiale di questo materiale. La sovraccapacità della Cina ha recentemente iniziato a destare preoccupazione. In aggiunta a ciò il consumo interno ha subito una contrazione, mentre la produzione eccede il consumo in misura crescente.[1]
 La Commissione evoca in sostanza il pericolo che il mercato europeo possa essere “invaso” da prodotti siderurgici provenienti dall’Estremo Oriente. Massicce importazioni andrebbero così a sostituire le produzioni comunitarie in un quadro di accentuata concorrenza. Si tratta di un timore fondato? E soprattutto, è davvero questo il problema principale che attanaglia l’industria europea dell’acciaio? Vi è motivo di ritenere di no. In realtà, come vedremo, quello della siderurgia costituisce un caso per molti versi emblematico di quel vasto processo di ristrutturazione degli assetti capitalistici continentali che la crisi dell’eurozona ha drasticamente accelerato e che sembra trovare il suo principale punto di caduta in uno scontro sempre più accentuato tra gli interessi strategici dell’industria tedesca e le condizioni di tenuta dei settori industriali dell’Italia e degli altri paesi periferici dell’Unione monetaria europea.
Arrivano i cinesi?
 La crisi economica ha avuto pesanti ripercussioni sulla siderurgia europea. Per quanto riguarda il consumo di laminati a caldo piani e lunghi, dopo il tracollo registrato nel 2009 e l’incerta ripresa dei due anni successivi, nel 2012 si è assistito a un nuovo tonfo, che ha portato a una caduta del trenta percento rispetto al 2007. Riguardo alla produzione, la contrazione è stata del diciotto percento dal 2007, pur grave ma meno accentuata rispetto ai consumi grazie alla contestuale crescita delle esportazioni extra-UE, che nello stesso periodo sono aumentate del 18,5% (v. grafico 1).

Grafico 1. L’andamento del mercato siderurgico europeo durante la crisi (in milioni di ton.). 2007-2012.
grafico 1
Fonti: Eurofer, World Steel Association. Nostre elaborazioni
La ricerca di sbocchi sui mercati extracomunitari non è stata l’unica conseguenza della crisi. I produttori UE si sono cimentati anche in un aggressivo processo di sostituzione delle importazioni extra-Ue, che ha determinato il dimezzamento degli acquisti provenienti da altre aree del mondo: tra 2007 e 2012, il rapporto fra import extra-UE e consumo di beni siderurgici è passato dal 21 al 15%. La recessione, in definitiva, ha indotto i produttori europei a trovare nuovi sbocchi tanto sui mercati terzi quanto sul mercato interno. Il pericolo dei “cinesi alle porte”, pronti a invadere il mercato europeo con milioni di tonnellate di acciaio, risulta dunque smentito dai dati. In anni tutt’altro che facili a causa di una forte contrazione del mercato, la siderurgia europea nel complesso si è dimostrata in grado di far fronte efficacemente alla pressione dei concorrenti extra-comunitari.
Deutschland über alles
In quale misura i produttori europei hanno partecipato alla sostituzione delle importazioni e alla penetrazione dei mercati extracomunitari? I dati mostrano che questi processi si sono distribuiti in maniera tutt’altro che uniforme tra le aziende dei diversi paesi. La nostra analisi riguarderà i quattro principali produttori dell’Unione: Germania, Italia, Francia e Spagna, che insieme totalizzano oltre la metà della produzione comunitaria. Osserviamo in primo luogo il contributo della produzione nazionale al consumo di beni siderurgici all’interno dell’UE. Sotto questo profilo, si può notare una crescita costante della quota di produzione tedesca. Aumenta, anche se a un ritmo inferiore, anche quella italiana; contestualmente la componente francese resta sostanzialmente stabile, mentre quella spagnola crolla  (v. grafico 2).

Grafico 2. (Produzione nazionale – export extra UE)/consumo apparente UE (in %). 2007-2012.
grafico 2
Fonti: Federacciai, Fédération Française de l’Acier (FFA), Stahl-Zentrums, Uniòn de Empresas Siderùrgicas (UNESID). Nostre elaborazioni.
Il processo di sostituzione delle importazioni extracomunitarie sembra dunque aver giovato in primo luogo alla principale industria siderurgica europea: i produttori tedeschi hanno conseguito questo risultato in virtù di una più profonda penetrazione negli altri mercati comunitari e del rafforzamento della propria presenza sul rispettivo mercato nazionale. Se guardiamo i dati sulle quote dei consumi di ciascun paese coperte dalle produzioni siderurgiche dei partners europei, possiamo notare che tra il 2007 e il 2012 il peso dell’export tedesco sui mercati degli altri membri UE è passato da 11,8 a 14,7 punti percentuali; contestualmente la presenza di flussi di provenienza italiana è aumentata di appena un punto, mentre è rimasta stabile quella relativa alle esportazioni francesi e spagnole (v. grafico 3). 

Grafico 3. Export nazionale verso UE /consumo apparente UE – consumo apparente nazionale (in %). 2007-2012.
grafico 3
Fonti: Iid.
Sul versante opposto, la quota di importazioni della Germania dagli altri paesi dell’Unione in rapporto al consumo interno tedesco è arretrata, mentre sul mercato iberico i flussi di beni siderurgici provenienti dagli altri paesi UE sono esplosi. Nello stesso frangente, la nostra siderurgia è riuscita a presidiare il mercato nazionale dalle incursioni dei concorrenti comunitari, mentre quella francese ha perso qualche posizione (in un quadro che vede comunque il mercato transalpino storicamente più esposto ai flussi in entrata e in uscita dagli altri paesi UE). (v. grafico 4)

Grafico 4. Import da UE/consumo apparente nazionale (in %). 2007-2012.
grafico 4
Fonti: Iid.
Spagna, Francia e Italia hanno in parte compensato le difficoltà sul mercato europeo cercando di massimizzare il saldo attivo con le aree extracomunitarie. Sul fronte del contenimento delle importazioni dal resto del mondo le prestazioni sono state indubbiamente notevoli, consentendo all’Italia di sostituire una certa quota di import con produzione nazionale, alla Francia di bilanciare la crescita degli acquisti intra-UE e alla Spagna di ridurre l’impatto del boom dei flussi di acciaio di provenienza europea. Nel frattempo è mutata drasticamente la composizione delle spedizioni di beni UE verso altre aree, con la Spagna che nel 2012 è arrivata quasi a insidiare il primato tedesco, vedendo più che raddoppiare la propria partecipazione all’export; in crescita – anche se in misura meno rilevante – sono risultate anche le quote italiana e francese, mentre la componente tedesca ha subito una significativa contrazione (v. grafico 5).

Grafico 5. Export extra UE nazionale/Export extra UE comunitario (in%). 2007-2012
grafico 5
Fonti: Iid.
In sintesi, le tensioni maturate in seno al mercato siderurgico europeo a seguito del crollo della domanda hanno  provocato un’accentuazione complessiva della concorrenza fra produttori, intra ed extra-comunitari. I tedeschi sono riusciti a estendere la propria presenza sul mercato nazionale e sugli altri mercati comunitari, dimostrando una straordinaria capacità di penetrazione a scapito sia degli esportatori extra-UE che dei concorrenti europei; più modesto è stato lo sforzo di affermazione dei produttori tedeschi sui mercati esterni all’Unione. All’estremo opposto si collocano i produttori spagnoli, i quali hanno perso rilevantissime posizioni sul mercato nazionale a vantaggio dei concorrenti UE, non sono stati in grado di conquistare porzioni degli altri mercati comunitari e hanno solo in parte compensato tale dinamica con una sempre maggiore estroflessione verso il resto del mondo. Nel mezzo, fra i casi che abbiamo esaminato, troviamo i produttori italiani e francesi: in particolare, la nostra siderurgia ha subìto meno la pressione degli altri produttori UE ed è riuscita a recuperare fette di mercato nazionale strappandole ai concorrenti extracomunitari; diversamente, gli operatori transalpini hanno appena compensato l’incremento dell’import di derivazione UE con la sostituzione dei flussi di acciaio provenienti da altre aree.
A quanto pare, dunque, la capacità di penetrazione dei mercati limitrofi, assieme alla tenuta di un mercato interno che ha risentito meno degli altri del crollo della domanda, hanno permesso alla siderurgia tedesca di resistere più efficacemente dei concorrenti comunitari alla caduta della domanda complessiva di acciaio. Fra i paesi considerati, infatti, la Germania è la sola che ha visto aumentare la rispettiva quota sul totale della produzione di laminati UE (dal 22,4% al 24%); il contributo italiano e francese è rimasto stabile, mentre quello spagnolo è declinato dal 10 all’8,6%.
L’eurocentrismo strategico dei produttori tedeschi
 Come si spiegano tali esiti? Verrebbe da rispondere che una migliore organizzazione produttiva deve aver permesso ai produttori tedeschi di avere la meglio sui concorrenti. A ben vedere, tuttavia, la vicenda si rivela più complessa. Le siderurgie spagnola e francese sono caratterizzate da un’elevatissima concentrazione: in entrambi i casi una sola azienda, Arcelor Mittal (il principale produttore mondiale d’acciaio), esprime una quota molto rilevante della produzione nazionale (rispettivamente, 45 e 70% nel 2012)[2]. Le ragioni di questo primato risalgono alla storia della siderurgia di quei paesi. Prima di essere acquisita nel 2006 dal gruppo indiano Mittal, Arcelor nasce nel 2002 dalla concentrazione di tre grandi “campioni nazionali”: la lussemburghese Arbed, la spagnola Aceralia e la francese Usinor. A loro volta, questi ultimi due gruppi sono emersi nel decennio precedente dalla fusione fra i principali produttori siderurgici dei rispettivi paesi (Usinor, Sacilor e Sollac, in Francia; ENSIDESA e Altos Hornos de Vizcaya, in Spagna). La fusione mantenne il carattere pubblico delle aziende, che venne meno solo a seguito della privatizzazione di metà anni ’90. Una struttura appena meno concentrata è presente in Germania, dove i due principali produttori (Thyssen Krupp e Salzgitter – a loro volta emersi da imponenti concentrazioni: fra Thyssen, Krupp e Hoesch, il primo; fra Salzigitter e Mannesman, il secondo) esprimono quasi il 50% della produzione; se si conta anche la quota di Arcelor Mittal (che in Germania ha ereditato gli stabilimenti di Brema, rilevato da Arbed nel 1994, e di  Eisenhüttenstadt, comprato alla caduta della Germania Est dalla belga Cockerill Sambre, in seguito acquisita da Usinor), i primi tre gruppi del paese realizzano circa i due terzi dell’output nazionale[3].
Ma la differenza più profonda fra le industrie siderurgiche dei paesi in questione riguarda la nazionalità e quindi anche la dislocazione dei capitali che controllano le imprese appena citate. Come si è detto, Arcelor è ormai divenuta l’estensione europea del colosso indiano Mittal; di contro la componente maggioritaria della siderurgia tedesca rimane con la “testa” ben radicata in Germania.  Tale circostanza non è senza conseguenze sulla strategia industriale seguita dai diversi gruppi. Dallo scoppio della crisi Arcelor Mittal ha avviato un processo di ridimensionamento della propria presenza nel vecchio continente: se ancora nel 2010 circa la metà dell’acciaio prodotto dal colosso indiano era localizzato in area UE, nel 2012 tale quota si è ridotta al 43%[4]. Di contro, la gran parte della produzione di Thyssen Krupp, il principale operatore tedesco, resta concentrata in Germania. E’ chiaramente l’esito di due diversi approcci al mercato europeo: se per i produttori tedeschi questo rappresenta uno sbocco indispensabile, lo stesso non può dirsi per una multinazionale con ramificazioni globali. I tedeschi sono obbligati a sostenere sforzi significativi pur di conquistare quote crescenti presso il loro mercato di riferimento, accettando soprattutto le conseguenze di una pressione sui profitti derivante da livelli dei prezzi non remunerativi. Arcelor Mittal può invece diversificare con maggiore elasticità i propri sbocchi, risultando meno dipendente dal mercato europeo.  Tale differenza sembra riflettersi nei conti economici dei gruppi in questione: stando ai valori del biennio 2010-2011, si registra per TK e Salzgitter un azzeramento della redditività, a fronte di risultati comunque positivi conseguiti da Arcelor Mittal[5].
I nodi della siderurgia italiana
 Veniamo al nostro paese. Le imprese che operano sul territorio italiano sono quasi tutte a capitale nazionale; con la sola eccezione del gruppo Riva prima del commissariamento di ILVA, nella maggior parte dei casi si tratta di operatori di medie o piccole dimensioni. Rari sono gli esempi di imprese siderurgiche italiane con una significativa presenza all’estero. La struttura produttiva della siderurgia italiana appare inoltre meno concentrata rispetto a quella degli altri grandi produttori comunitari: il principale gruppo del paese, Riva, nel 2011 ha realizzato poco più di un terzo della produzione nazionale di laminati (circa 9,5 milioni di ton.); insieme al secondo produttore, Arvedi (2,5 milioni ton.), si arriva al 44% dell’output italiano nell’anno in questione. Gli altri operatori nazionali hanno capacità ancora inferiori, e le rispettive produzioni oscillano intorno al milione di tonnellate. Tale frammentazione è un elemento da considerare nel valutare i recenti risultati d’esercizio della siderurgia italiana. Se infatti i tedeschi sono riusciti a reggere il crollo della domanda comunitaria – e anzi ad approfittarne per lanciare una strategia di espansione sui mercati UE – ciò è dovuto anche a una migliore organizzazione del settore, in cui un ruolo decisivo è giocato da grandi concentrazioni industriali caratterizzate da economie di scala tali da compensare la flessione dei prezzi e la relativa contrazione dei profitti.
Se a tali considerazioni si somma l’evidenza della crisi in cui versano alcuni importanti gruppi (Riva su tutti, ma anche Lucchini e l’ormai ex unità Thyssen Krupp di Terni), le prospettive della siderurgia italiana appaiono tutt’altro che confortanti. L’eventuale esito negativo di queste vicende aziendali acuirebbe la frammentazione che già caratterizza il settore, indebolendolo ulteriormente. Tale prospettiva esporrebbe dunque il nostro paese alla penetrazione da parte delle vicine produzioni tedesche, con conseguenze facilmente prevedibili sulla bilancia commerciale.
Mezzogiornificazione
 Qualsiasi indirizzo di politica siderurgica si voglia seguire nel nostro paese, non si possono ignorare le tendenze descritte in questa breve nota. Lo sforzo compiuto dai produttori tedeschi è apertamente teso a consolidare l’egemonia sul mercato europeo. Non è casuale l’opposizione che i rappresentanti della Repubblica Federale hanno manifestato in sede comunitaria nei confronti delle proposte di gestione condivisa della crisi di sovracapacità che affligge la siderurgia europea. Tale presa di posizione echeggia per più di un verso quella assunta dai vertici di Volkswagen contro Sergio Marchionne, che in qualità di presidente dell’Associazione Europea dei Produttori di Auto aveva accusato i marchi tedeschi di dumping sui prezzi e aveva chiesto alla Commissione Europea di avviare una strategia concordata di ridimensionamento della capacità produttiva del settore. D’altra parte, la siderurgia tedesca non potrebbe che beneficiare dell’eventuale chiusura di importanti stabilimenti concorrenti. La sovracapacità del mercato europeo verrebbe almeno in parte ridimensionata e si assisterebbe quindi a una minore pressione al ribasso sui prezzi. A questo proposito, l’ASSOFERMET, associazione di commercianti e utilizzatori di prodotti siderurgici, ha stimato che l’eliminazione dell’unità di Taranto – che ha operato fino ad oggi da price leader – determinerebbe un rincaro dei prezzi dei laminati piani di circa 50 Euro/ton – corrispondente a un incremento dell’11-12% rispetto ai livelli correnti[6].
Vi è dunque motivo di ritenere che i rappresentanti dell’industria tedesca vedano la crisi in chiaroscuro, e siano maggiormente attratti dal dispiegamento di opportunità cui essa dà luogo che intimoriti dai rischi che porta con sé. Per questo sono indotti a preferire un contesto competitivo a qualsiasi ipotesi di coordinamento politico delle ristrutturazioni. Questa posizione, del resto, non si manifesta solo nei settori dell’industria in senso stretto. In fin dei conti essa caratterizza le autorità tedesche anche in tema di unione bancaria, concepita come processo eminentemente competitivo e scoordinato, potenziale preludio per una stagione di acquisizioni di istituti bancari dei paesi periferici da parte dei capitali del “centro” dell’Unione.[7]
La crisi dell’industria dell’acciaio sembra dunque costituire una cartina di tornasole di processi di ristrutturazione ben più ampi. Nei principali settori dell’industria europea gli operatori tedeschi appaiono in grado di attraversare la crisi traendone vantaggi in termini di espansione delle rispettive quote di mercato. Tale strategia, pur comportando sacrifici nel breve periodo, consolida la presenza delle aziende tedesche nel mercato europeo. Si tratta di un progetto egemonico dichiarato, che si basa sulla consapevolezza che il quadro macroeconomico tende a favorirle. Basti ricordare che l’adozione dell’euro, impedendo ai paesi periferici di svalutare, accentua le divergenze di competitività soprattutto nei settori la cui domanda risulta maggiormente sensibile ai differenziali di prezzo. Inoltre le politiche di austerity hanno agito più pesantemente sulle periferie europee, deprimendo i rispettivi mercati interni. Per ragioni strutturali e politiche, dunque, la crisi economica europea di dispiega in termini asimmetrici sulla Unione monetaria. La scommessa tedesca è che in un simile scenario i concorrenti europei saranno destinati a un progressivo ridimensionamento. E’ esattamente lo scenario prospettato dal “monito degli economisti” apparso di recente sulle colonne del Financial Times e sottoscritto da numerosi esponenti della comunità accademica internazionale[8]: l’Unione monetaria europea e le sue politiche accentuano la crisi economica e allargano i divari tra paesi, favorendo le aree forti del continente a scapito di quelle più deboli. Il pericolo evocato è una drastica “mezzogiornificazione” delle periferie europee. Passando attraverso una selezione darwiniana, interi settori strategici delle aree periferiche d’Europa stanno andando incontro a processi di centralizzazione e concentrazione i cui esiti sono la desertificazione produttiva o la crescente dipendenza dalle aree centrali dell’Unione.
Emiliano Brancaccio e Salvatore Romeo
articolo pubblicato su Limes. Rivista italiana di geopolitica

venerdì 30 maggio 2014

Siderurgia, avviato tavolo nazionale di settore




Fiom: "Urgente soluzione vertenze"
Si è svolto nel pomeriggio di oggi al ministero dello Sviluppo economico il primo incontro del tavolo nazionale sulla siderurgia. In agenda, l'implementazione nazionale dello Steel action plan europeo e il punto sulle principali vertenze aziendali.

Affermano in una nota Rosario Rappa, responsabile siderurgia per la Fiom-Cgil, e Gianni Venturi, coordinatore Fiom del settore: “Fim, Fiom e Uilm hanno consegnato, come contributo alla discussione, il documento finale dell'Assemblea nazionale delle Rsu svolta a Roma il 23 maggio scorso”.

“All'incontro la Fiom ha evidenziato che già un anno fa si conveniva sulla necessità di un salto di qualità nelle politiche di settore che oggi è urgente compiere per salvaguardare un'industria strategica per il paese. Per la Fiom, inoltre, il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea costituisce un'opportunità da sfruttare, ma non la soluzione automatica ai problemi del settore.”

“A conclusione dell'incontro la ministra Guidi ha proposto la costituzione di un tavolo tecnico per arrivare a delle proposte da portare entro un mese al prossimo incontro del tavolo. Inoltre, riguardo le vertenze aziendali aperte, il viceministro De Vincenti - su sollecitazione delle organizzazioni sindacali - ha dichiarato che in tempi brevissimi si terranno confronti in sede governativa su Ilva, Lucchini, Ast e Alcoa.”
fonte wwwRassegna.it

giovedì 29 maggio 2014

Oggi il tavolo della siderurgia A Roma il caso Lucchini


-La Nazione-
— PIOMBINO —  gio 29 mag, 2014



«PIOMBINO non risolve purtroppo tutti i problemi con i 200 milioni». Risponde così Vincenzo Renda segretario della Uilm al ministro Roberta Pinotti che a Ballarò ha ricordato i soldi stanziati da Renzi nell’accordo di programma per Piombino. E intanto oggi si riunisce a Roma il tavolo della siderurgia alla presenza dei segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm. Si parlerà anche della questione Lucchini.
«DURANTE la trasmissione il ministro ha portato d’esempio alcuni interventi del governo Renzi, a Fincantieri sono state commissionate due navi che fanno così ripartire il lavoro, e poi ha ricordato i 200 milioni su Piombino. Certo sono soldi importanti – evidenzia Renda – e importante è l’accordo di programma ma va detto anche che se non viene realizzato tutto quello che c’è scritto, e soprattutto se non riparte l’area a caldo, sarà una tragedia che non sarà risolta con i duecento milioni dell’accordo di programma.
Questo voglio dire. Perché il rischio è quello di dover ricollocare un elevato numero di eccedenze se non riparte l’afo. E anche se non viene realizzato il corex o il forno elettrico». Oggi sarà presente a Roma per la Uilm il segretario Rocco Palombella. «A lui ho chiesto – ha detto Renda – che si accertasse che Piombino venga tutelata, che l’accordo venga mantenuto anche dal punto di vista della regia e che non si perdano per strada quote di mercato, con un occhio di attenzione per le rotaie.
Noi siamo sempre stati per il mantenimento del ciclo integrale anche in questa situazione per tre motivi: il primo occupazionale, perché così si potevano traghettare i lavoratori, poi per una questione di mercato, con una lunga fermata si rischia di perdere quote, e poi perché vorremmo realizzare il nuovo, ma in contemporanea con il vecchio in marcia, perché non c’è esperienza sulle nuove tecnologie».
Maila Papi

martedì 27 maggio 2014

- LUCCHINI- Nardi: «Chiudo il mandato a fine giugno» 

 I dubbi dei sindacati dopo la condanna


-Il Tirreno-
— PIOMBINO — dom 25 mag, 2014



«A FINE giugno chiudo il mio mandato a Piombino». Ne è certo il commissario straordinario Lucchini Piero Nardi che ha ricordato date e scadenze della procedura di vendita dello stabilimento, in un’intervista a Siderweb.
INTANTO però il governo, per questo ultimo mese potrebbe avere qualche problema, perché la sentenza arrivata da Taranto di condanna in primo grado di Nardi a otto anni e sei mesi, per la questione amianto e sicurezza ambientale, sembra che preveda pure – come ha dichiarato Rosario Rappa Fiom – “l’interdizione dell’esercizio dell’industria”. Piero Nardi comunque va avanti ed è certo che entro l’estate Lucchini avrà un nuovo proprietario. “Il 18 giugno scade il termine posto per le offerte vincolanti per Piombino, Lecco, Gsi e Vertek. Per quanto riguarda Trieste dovrebbe essere una settimana dopo – ha detto Nardi a Siderweb – io spero a fine giugno di aver chiuso il mio mandato, poi servirà un mese per i contratti e gli aspetti di carattere formale».
C’È ATTESA e timore a Piombino, attesa per capire chi comprerà Lucchini e quale sarà il futuro dello stabilimento. Quali investimenti verranno effettuati, come si trasformerà il secondo polo siderurgico d’Italia. E quando potrà tornare a produrre acciaio.
Intanto le sorti di un altro stabilimento siderurgico, l’Ilva di Taranto, si stanno intrecciando ancora una volta con quelle di Piombino, soprattutto dopo la sentenza di condanna in primo grado per Piero Nardi, che secondo indiscrezioni avrebbe dovuto sostituire il commissario straordinario dell’Ilva Enrico Bondi. «E’ particolarmente significativa la disposta interdizione dall’esercizio dell’industria nei confronti dei massimi responsabili della siderurgia italiana.
QUESTO, naturalmente, pone un problema anche di natura politica cui il Governo deve dare una risposta». A dichiararlo è Rosario Rappa, della segreteria nazionale della Fiom Cgil, dopo la sentenza, pronunciata a Taranto, con la quale sono stati condannati a pene pesanti 27 ex manager del siderurgico sia gestione di Stato, Italsider-Ilva, che privata, gruppo Riva. E ancora operativo nel mondo dell’acciaio è proprio Nardi. «Il caso Taranto non si è risolto con questa sentenza.
OCCORRE ricostruire un’industria siderurgica che al contempo offra lavoro e tuteli la vita» dice ancora Rappa. Le condanne sono riferite ai decessi di 28 operai avvenuti tra il 2004 e il 2010 ed esposti, nella loro attività di lavoro, all’amianto presente nell’acciaieria.

domenica 25 maggio 2014

Buon voto (e non voto) a tutti.

 E' un diritto costato sangue. ma, come ogni diritto, è
a discrezione di chi intende esercitarlo.


Mi auguro che  ai seggi tutto si svolga correttamente 
e serenamente. 

Sono invece sicuro che domani avranno vinto tutti

 e non avrà perso nessuno.

Chissà, magari un giorno impareremo che qualsiasi 
"altro" non è un nemico da additare, combattere, 
umiliare, mortificare, dileggiare, asfaltare, abbattere; 
ma solo uno che la pensa diversamente. uno come 
noi, con gli stessi diritti e doveri; e con il quale magari
 dovremmo cercare i punti di incontro, non di scontro.

"La verità è sempre rivoluzionaria" (antonio gramsci)


Grazie Ale

sabato 24 maggio 2014

Ilva, Nardi condannato a otto anni e sei mesi

Sentenza del tribunale di Taranto per 28 ex dirigenti, fra cui il commissario della Lucchini


    Il tribunale di Taranto ha condannato 28 ex dirigenti dell'Ilva per le morti causate dall'amianto ed altri cancerogeni provenienti dallo stabilimento siderurgico. Le pene più alte sono state inflitte agli ex manager della vecchia Italsider pubblica alla quale subentrò il gruppo Riva. Tra questi,Giovanbattista Spallanzani, condannato a 9 anni. Otto anni e 6 mesi sono stati inflitti invece a Pietro Nardi, dirigente dell'azienda con la gestione pubblica e oggi commissario della Lucchini di Piombino (ma si fa il nome di Nardi anche come successore dell'attuale commissario dell'Ilva, Enrico Bondi, i cui primi 12 mesi di mandato scadono ai primi di giugno). Sei anni invece per Fabio Riva, figlio di Emilio Riva, e per il quale il pm aveva chiesto 4 anni e 6 mesi. Non c'è più tra gli imputati Emilio Riva, scomparso il 30 aprile scorso, e quindi gli imputati del processo sono scesi da 28 a 27, mentre è stato assolto Hayao Nakamura, prima consulente dell'Ilva pubblica essendo manager della Nippon Steel, poi divenuto per un breve periodo amministratore delegato della stessa Ilva pubblica.
    23 maggio 2014   
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  • venerdì 23 maggio 2014

    Condannati 28 dirigenti dell’Ilva

    8 anni e mezzo per Pietro Nardi 
    attuale commissario della Lucchini

    • 23 maggio 2014
    •  
    • 13.41
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    Una manifestazione per la chiusura dell’Ilva a Taranto, il 17 agosto 2012. (Carlo Hermann, Afp)
    Il giudice della seconda sezione penale del tribunale di Taranto Simone Orazio ha condannato in primo grado 28 imputati per disastro ambientale ed omicidio colposo per la morte di una ventina di operai, ammalati di cancro per l’esposizione all’amianto. Con una condanna da quattro a nove anni e mezzo, sono stati condannati alcuni ex manager e direttori generali dello stabilimento siderurgico di Taranto Italsider/Ilva. Il gruppo Riva, infatti, acquistò l’acciaieria dallo stato nel 1995. I crimini contestati agli imputati risalgono sia al periodo di gestione pubblica dello stabilimento, sia alla gestione privata.
    La pena più alta, nove anni e mezzo, è andata al manager Sergio Noce, nove anni al suo collega Gianbattista Spallanzani e nove anni e due mesi ad Attilio Angelini, accusati di disastro ambientale e ventuno omicidi colposi, per la morte per mesiotelioma di operai venuti in contatto con fibre di amianto. Ad otto anni e mezzo sono stati condannati Pietro Nardi e Giorgio Zappa, ex dirigenti di Finmeccanica.
    Fra gli imputati c’era anche il proprietario dell’Ilva Emilio Riva, morto il 30 aprile 2014, Fabio Riva e l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, entrambi condannati a sei anni di reclusione.
    Secondo l’accusa l’amianto fu usato in maniera massiccia nello stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande d’Europa, ed è ancora oggi una sostanza presente in alcuni impianti dell’Ilva. Nel corso degli anni gli operai non furono formati e informati sui rischi dell’amianto, non ricevettero sufficienti visite mediche e tutele per la loro salute entrando in contatto con la pericolosa sostanza che in molti caso ha causato gravi malattie e la morte.
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    LUCCHINI     INTERESSANTE INTERVISTA 
    AL COMMISSARIO PIERO NARDI






    dal sito SIDERWEB-TV

    giovedì 22 maggio 2014

    Per non spegnere il nostro futuro

    22 Maggio 2014 , Scritto da Gordiano LupiCon tag #gordiano lupi#luoghi da conoscere
    Per non spegnere il nostro futuro
    Perché la guardia non si abbassi, proponiamo questo pezzo del piombinese Gordiano Lupi sulla situazione della Lucchini.
    "Un altoforno che si spegne insieme alle speranze. Un altoforno che ha segnato la nostra storia. Una storia fatta di lacrime e sudore, di antenati scesi dalle montagne o sbarcati da una nave per seguire una speranza di lavoro. Una storia fatta di padri che pranzavano spalle rivolte all'altoforno per non vederlo, ma non potevano fare a meno di sentirne il rumore, mentre assaporavano l'odore acro della polvere di carbone. Una storia fatta di speranze e di parole, racconti di nonni che dispensavano sogni, narrando di famiglie allevate all'ombra del gigante d'acciaio. Un altoforno che si spegne e potrebbe non riaccendersi, segnando definitivamente la nostra storia. E i politici che parlano, vicini e lontani, chi usa il dolore degli operai per fare propaganda, chi lotta e s'infuria perché non ha risposte, chi afferma che non è un suo problema, chi propone passeggiate sulla spiaggia al posto di un altoforno. Altri invocano parole di persone che potrebbero alzare il livello d'attenzione su questa periferia toscana, confidano in un intervento del Papa, invocano il Dio televisione che tutto può, i personaggi di spicco a Mediaset, i registi, i cantanti. Avranno ragione anche loro, mi dico, ma pure questo è un segno dei tempi che cambiano e non entusiasmano. Ognuno ha la sua ricetta, molti a fin di bene, altri meno, perché parlano senza il minimo senso di responsabilità, senza capire, dando in pasto a social-network e giornali parole pesanti come macigni. Osservo l'eutanasia di un altoforno che ha segnato la nostra storia, con un senso d'impotenza, preoccupato per il futuro, immerso nell'odore acre del salmastro frammisto alla polvere di carbone. L'odore di Piombino. L'odore della nostra terra. Non è un romanzo scritto male, neppure un film da dimenticare, purtroppo è il nostro destino, che vorremmo cambiare. Per non spegnere, insieme a un altoforno, anche il nostro futuro."
    Gordiano Lupi

    Ilva di Taranto, domani la sentenza: Piero Nardi rischia sette anni

    Attesa per la decisione del giudice al processo per i morti da amianto. Tra i 29 imputati anche l’attuale commissario straordinario della Lucchini

    PIOMBINO. La sentenza è attesa per domani (sabato 24 maggio) e ad attenderla è anche Piero Nardi, attuale commissario straordinario della Lucchini. Nardi infatti è tra i 29 imputati al processo per i morti di amianto all’Ilva di Taranto per i quali il pubblico ministero ha chiesto condanne a pene variabili tra due anni e sei mesi e nove anni di reclusione. Per Nardi il pm ha chiesto sette anni di reclusione.
    Deceduti tra il 2004 e il 2010 per contatto con amianto e altri elementi cancerogeni: per l'accusa, è unica la matrice dei 15 decessi che, negli anni passati, hanno riguardato altrettanti operai dello stabilimento siderurgico di Taranto, dalla gestione pubblica Italsider-Ilva a quella privata Ilva della famiglia Riva subentrata all'Iri a maggio del 1995. Le presunte responsabilità per 2 dei 15 decessi sono addebitate a esponenti della famiglia Riva. Nella requisitoria di fine febbraio il pm Raffaele Graziano ha parlato tra l'altro di "intollerabile esposizione continua e senza protezione degli operai all'amianto". Nel processo si sono costituiti parte civile i congiunti delle vittime, l'Osservatorio nazionale amianto e Contramianto onlus. In particolare, il pm ha chiesto la condanna a 4 anni ciascuno per 29 ex dirigenti dell'Ilva e dell'Italsider tra i quali l'ex presidente Emilio Riva, suo figlio Fabio e l'ex direttore di stabilimento Luigi Capogrosso. Gli imputati rispondono a vario titolo di disastro ambientale colposo, omissioni di cautele contro gli infortuni e omicidio colposo per la morte di 15 operai che lavoravano a contatto con amianto.
    Nell'elenco degli imputati ci sono anche ex dirigenti e consiglieri cda di Italsider e Ilva che hanno gestito dal 1978 il siderurgico di Taranti nonché il passaggio dalla gestione pubblica a quella privata. Per i 29 imputati la Procura ha chiesto condanne a pene variabili tra due anni e sei mesi e nove anni di reclusione. Il massimo, nove anni, è stato chiesto per gli ex direttori di stabilimento Italsider Giambattista Spallanzani, Sergio Noce e Attilio Angelini; sette anni ciascuno per gli ex dirigenti Italsider e Ilva Girolamo Morsillo, Francesco Chindemi, Mario Lupo, Giovanni Gambardella, Giovanni Gillerio, Pietro Nardi (attuale commissario della Lucchini di Piombino), Giorgio Zappa, Bruno Fossa, Riccardo Roncan, Alberto Moriconi, Aldo Bolognini, Massimo Consolini e Giorgio Benevento; sei anni per Renato Cassano; cinque anni per Franco Simeoni; quattro anni e otto mesi per Nicola Muni, Costantino Savoia, Mario Masini, Lamberto Gabrielli, Tommaso Milanese, Augusto Rocchi e Ettore Salvatore; quattro anni e sei mesi per Emilio e Fabio Riva e Luigi Capogrosso; infine due anni e sei mesi per il giapponese Hayao Nakamura che prima fu chiamato come consulente, essendo in forza alla Nippon Steel, e poi, per un periodo, è stato anche amministratore delegato con la gestione pubblica.
    22 maggio 2014   
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  • mercoledì 21 maggio 2014

    LUCCHINI«IL COREX E’ UNA CHIMERA CON AIUTI DI STATO MASCHERATI»



    Un momento di un assemblea Lucchini
    Un momento di un assemblea Lucchini
    É stata ancora una volta l’Ilva di Taranto e la Lucchini di Piombino a monopolizzare la conferenza stampa di Federacciai, che si é tenuta ieri prima dell’assemblea annuale dell’associazione nazionale dei produttori siderurgici.
    Priorità secondo Antonio Gozzi, presidente di Federacciai riconfermato alla carica anche per il prossimo biennio, sono l’occupazione ed il rispetto dell’ambiente che ci possono essere solo se c’è il mantenimento delle attività industriali. Se si pensa di proteggere la natura chiudendo le fabbriche secondo il presidente di Federacciai che è stato riconfermato anche per il prossimo biennio, si fa un grosso errore, «e ci sono moltissimi casi che lo dimostrano». L’unico modo, quindi, di far convivere le due cose secondo Gozzi è quello di mantenere in funzione le aziende e far sì che possano generare reddito.
    Per quanto riguarda la Lucchini, nella conferenza stampa che ha preceduto l’assemblea di Federacciai, Gozzi ha segnalato che le problematiche dell’impianto piombinese sono legate alle debolezze insite del sito, non ascoltate dalla politica e dal sindacato, che hanno preferito inseguire le«chimere del Corex» o le promesse della cordata italo-tunisina che «hanno probabilmente cercato di organizzare una truffa». Questa rincorsa ha portato molti pretendenti ad allontanarsi dal sito, destinandolo ad un futuro difficile.
    Oltre ai problemi dell’Ilva e di Piombino – le cui prospettive legate a DRI e Corex sono state definite come non ottimali -, Gozzi ha dichiarato durante la conferenza che il 2013, per la siderurgia italiana, é stata contraddistinta da «una modesta congiuntura» e che nel 2014 l’Italia «ripeterà grosso modo i risultati dell’anno scorso: non può essere altrimenti perché l’acciaio é un indicatore ciclico ed il ciclo economico non dà segni di miglioramento».
    All’interno del comparto «le imprese export-oriented fanno registrare performance reddituali buone», mentre gli impianti italiani, nel complesso, sono utilizzati al 60%-65%. Il primo trimestre del 2014, con l’incremento dell’output nazionale, «vede un aumento della produzione a causa della ripresa dell’attività dell’Ilva».  Facendo un bilancio del biennio appena trascorso, Gozzi ha sottolineato che Federacciai ha mantenuto il presidio sull’energia, il cui costo per i grandi consumatori é in linea con quello dei competitor europei, e sulle materie prime, con l’introduzione che hanno semplificato la gestione del rottame. Il settore italiano dell’acciaio, in questo biennio, «nonostante fosse al sesto anno di crisi ha tenuto ancora. Ha tenuto per la lealtà dell’imprenditoria nazionale, che ha continuato a investire nelle proprie imprese. Questa é la faccia buona del capitalismo famigliare del nostro Paese».
    Per Lucchini secondo Gozzi ad oggi resta, pur senza farne il nome, di fatto solo la manifestazione d’interesse della Jsw di sajjan Jindal, esprimendo peraltro tutto il suo scetticismo sulla realizzazione eventuale di un impianto Corex: «C’è il rischio – ha commentato Gozzi– che la politica e il sindacato rincorrano chimere come il Corex, tecnologia che in 30 anni non è mai riuscita a decollare, oltre tutto con strumenti finanziari a sostegno che rischiano di essere aiuti di Stato camuffati».
    Tra le altre novità di ieri segnaliamo anche quella de il “Sole 24 ore”, che annuncia un possibile approdo all’Ilva di Taranto di Piero Nardi, attuale commissario della Lucchini di Piombino, al posto di Enrico Bondi, non molto amato sia da Federacciai che dalle banche creditrici. Gli industriali italiani hanno chiesto al Governo Renzi che sia allontanato il commissario dell’Ilva, Enrico Bondi il cui contratto scade il 4 giugno prossimo. L’Ilva di Taranto si «avvicina rapidamente al collasso» ed è «in procinto di fallire», ha detto il presidente di Federacciai.
    da IL CORRIERE ETRUSCO 21/5/2014

    POVERA ITALIA ........esiste il Ministero del lavoro, il Ministereo dello sviluppo economico, ma per sostenere il lavoro ci si deve rivolgere al Papa?


    Lucchini, il Papa incontra i lavoratori: «Avanti, ogni problema ha una soluzione»


    Papa Francesco incontra una delegazionedi lavoratori della Lucchini
    Papa Francesco incontra una delegazionedi lavoratori della Lucchini
    «Avanti, ogni problema ha una soluzione» ha detto Papa Francesco stringendo la mano al sindaco di Piombino, Gianni Anselmi. Attorno a loro, c’è un’emozionatissima delegazione dei lavoratori della Lucchini, ricevuti dal Pontefice durante l’udienza generale di questa mattina così da poterlo ringraziare per il suo diretto interessamento sulla delicata vertenza delle acciaierie. «È stato bello vedere l’emozione di chi si è battuto con noi in questi mesi difficili» racconta lo stesso Anselmi, parlando delle rsu arrivate in piazza San Pietro.
    Il Governatore Rossi: «Per noi la vicenda non è chiusa» Della comitiva hanno fatto parte anche il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, il vescovo della diocesi di Massa Marittima e Piombino Carlo Ciattini e l’arcivescovo di FirenzeBetori. «C’è un’energia potentissima» racconta Mirko, uno dei lavoratori ricevuti da Bergoglio. Il governatore Rossi invece è andato a Roma con le idee molto chiare su quello che c’era da dire al Papa: «per noi la vicenda non è chiusa, stiamo lavorando per guardare avanti».
    La delegazione ricevuta stamattina dal Papa
    La delegazione ricevuta stamattina dal Papa
    In attesa di conoscere la nuova proprietà Questa del resto è una fase delicata per la Lucchini. Con l’altoforno ormai spento, si aspetta di conoscere quale sarà la nuova proprietà che preleverà il pacchetto del gruppo. Tra cordate ancora in gara, dove per favoriti sono dati gli indiani della Jsw, dato che nel loro progetto c’è la realizzazione di un Corex, un impianto in grado di riprendere la produzione integrale dell’acciaio, in linea con l’accordo di programma firmato dal governo. Ora non resta che attendere metà giugno, quando scadrà la fase diligence e si passerà alle offerte vincolanti.
    dal sito AGENZIAIMPRESS.IT
    - PIOMBINO- «Lucchini, il Corex è un'altra chimera»

    -Il Tirreno-
    di Cristiano Lozito
    PIOMBINO  mer 21 mag, 2014



    «Il problema della Lucchini? il sindacato e la politica, incapaci di riconoscere per tempo che l’altoforno, quell’altoforno storicamente inefficiente e generatore di perdite, non aveva alcuna speranza di essere salvato, come spiegai con chiarezza più di un anno fa». Così si è espresso Antonio Gozzi, patron della Duferco e presidente di Federacciai, ieri a Milano all’assemblea annuale degli industriali del settore. Duro il suo commento sulla vicenda piombinese: «Nessuno mi ascoltò, facendo continuare a produrre l’altoforno, il cui destino era segnato, con grave distruzione di risorse finanziarie che avrebbero potuto essere utilizzate per costruire un’ipotesi industriale per il futuro», con riferimento alla realizzazione di un forno elettrico.
    Gozzi è andato giù pesante anche sulla vicenda della Smc, la cui proposta poi svanita nel nulla, creò secondo la Duferco «quelle negative condizioni ambientali», che il 5 marzo portarono la società lombarda al ritiro dalla gara. «Si è arrivati a dar credito a livello locale – ha tuonato ieri – a spregiudicati personaggi italo-giordani-tunisini che, strumentalizzando la disperazione dei lavoratori, hanno probabilmente cercato di organizzare una truffa promettendo mirabolanti investimenti di cui mai si è vista lontanamente traccia, con una vera turbativa d’asta».
    Parlando del presente, Gozzi, ha sostenuto che per Lucchini «resta praticamente una sola manifestazione d’interesse (quella della Jsw di sajjan Jindal ndr), esprimendo peraltro tutto il suo scetticismo sull’uso eventuale di un impianto Corex: «C’è il rischio – ha detto il presidente di Federacciai – che la politica e il sindacato rincorrano chimere come il Corex, tecnologia che in 30 anni non è mai riuscita a decollare, oltre tutto con strumenti finanziari di sostegno che rischiano di essere aiuti di Stato camuffati».
    Ieri poi è circolata con insistenza la voce, riportata dal “Sole 24 ore”, di un possibile approdo all’Ilva di Taranto di Piero Nardi come commissario al posto di Enrico Bondi, inviso da Federacciai e dalle banche, a dir poco scettiche sul suo piano di ambientalizzazione della fabbrica, il cui mandato è in scadenza il 4 giugno. Solo un’ipotesi al momento, considerando gli impegni che ancora attendono Nardi sul fronte Lucchini.
    Infine, sulla questione delle bonifiche, ieri a Pavia il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha annunciato che «in uno dei prossimi consigli dei ministri approveremo un provvedimento di semplificazione per gli interventi di bonifica, soprattutto nei siti industriali inquinati che attendono di essere riqualificati».