Qualche decennio fa l’Italia ha chiuso col passato monarchico dopo aver sconfitto quello fascista. C’è stato un referendum che ha aperto il nostro paese alla democrazia. Dovremmo sfilare con matite copiative, schede e urne elettorali. E invece in piazza ci stanno pistole e fucili.
Sa la nostra Repubblica democratica è fondata sul lavoro potremmo sfilare coi lavoratori. Anche quello del militare lo è. E in una sfilata di lavoratori democratici (nonostante qualche tentennamento rispetto all’articolo 11 della Costituzione) i militari ci possono stare. Fino a qualche anno fa la leva era obbligatoria e, in un modo o nell’altro, era un esercito di popolo. Ma ora è sotto molti punti di vista un mestiere come tanti altri.
Anche loro avrebbero diritto ad esserci, ma non loro soltanto. Anche operai e contadini, insegnanti e bidelli, artigiani e artisti. E pure i precari e i disoccupati. Sarebbe più allegra una parata dove spunta solo qualche pistola in mezzo ad una selva di zappe e chiavi inglesi, gessetti e cancellini, scalpelli e martelli, trombe e tamburi.
Io il due giugno sarò a mangiare in trattoria accanto ad un laghetto dei Castelli Romani. Ci sarà una bambina di pochi mesi, due ragazzi che fanno le elementari, una punk di vent’anni disoccupata, un architetto che fa il vigile urbano, un fisico che fa l’amministratore, un impiegato dell’agenzia che fa test per le scuole, due pensionate e io che faccio l’artista.
Uno spaccato un po’ più vicino alla Repubblica democratica fondata sul lavoro.
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