Vertek di Condove. La Regione chiamata ad agire. Intervista a Francesca Frediani
Approvato un ordine del giorno di Francesca Frediani (M5S) dalla Giunta Regionale.Richiesta maggiore presenza della Regione e la difesa dei lavoratori.
di Massimo Bonato
Da dicembre 2013 il ministero italiano dello Sviluppo Economico ha ammesso Lucchini SpA alla procedura di amministrazione straordinaria. Gli stabilimenti di Piombino e di Lecco, di Trieste e di Condove assistono alla presentazione di offerte che cadono, di un continuo gioco al ribasso che fa stare con il fiato sospeso lavoratori, famiglie, comuni.
Martedì 29 luglio, in Consiglio regionale è stato approvato all’unanimità un ordine del giorno presentato dal Consigliere Francesca Frediani (M5S) relativo alla Vertek di Condove.
In esso viene chiesto che la Giunta Regionale si attivi perché “sia garantita la presenza agli incontri presso il Ministero allo sviluppo Economico” e “affinché il Presidente della Giunta Regionale Sergio Chiamparino faccia presente presso il Ministero allo Sviluppo Economico la grave situazione di incertezza attraversata dallo stabilimento di Condove, pianificando con gli enti centrali eventuali soluzioni positive della vicenda che garantiscano gli attuali livelli occupazionali”.
Abbiamo raggiunto Francesca Frediani per approfondire il significato di questa decisione.
È stato un anno di aspettative tradite, di alti e bassi in cui si è passati dalle offerte di un magnate giordano in gennaio a oggi, in cui non si sa nulla del futuro, tra offerte proposte e ritirate. Quali sarebbero in concreto le azioni che la Giunta Regionale e il suo Presidente potrebbero esercitare sul Ministero?
Sinora non sono mai stati presenti al tavolo delle trattative, mentre la Serracchiani (Debora Serracchiani, presidente della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, N.d.R.) per gli stabilimenti di Treviso sì per esempio.
Intanto si tratta di trovare un compratore; di salvaguardare i lavoratori. Lo stabilimento di Condove dipende principalmente da Piombino per gli approvigionamenti, quindi un possibile sviluppo starebbe nel trovare nuovi e diversi fornitori. In realtà sino a oggi l’interesse si è manifestato per i macchinari, per il terreno, ma non per lo stabilimento rischia il blocco dell’ attività in breve tempo.
Di fatto, la situazione di stallo e la conseguente incertezza sono dovuti a un continuo gioco al ribasso nelle contrattazioni, piuttosto che a un rilancio.
Il rischio è che se la comprino per i macchinari, mentre i punti di forza della Vertek di Condove stanno nella struttura dello stabilimento stesso, raggiunto da una linea di scalo ferroviario interna, e almeno in parte indipendente dal punto di vista energetico.
Leggendo delle sorti della Vertek Lucchini, Piombino e Lecco sembrano aver conquistato la cronaca, mentre di Condove, in generale si sa poco. Fiom e Amministrazione comunale si sono mossi: ma che cosa è dovuto il ritardo di interesse da parte delle istituzioni?
In realtà è questione di numeri: Piombino è il centro di tutto, produce a caldo e ha migliaia di lavoratori. per Condove la condizione diversa: interessa 94 lavoratori.
La Porchietto, che era assessore al Lavoro nella scorsa legislatura, ha di recente presentato una mozione sulle compensazioni Tav, sostenendo che i Comuni contrari al Tav non dovrebbero godere delle compensazioni e citando la Vertek di Condove come possibile caso “risolvibile grazie allo strumento delle compensazioni”. Ecco: davanti a questi ricatti diciamo no e chiediamo che per il nostro territorio ci sia un’attenzione a prescindere dal discorso TAV, in virtù del diritto al lavoro sancito dalla Costituzione.
Come recepisce, come vive quindi Condove la crisi della Vertek?
Con grande apprensione. Intanto per le famiglie dei 94 lavoratori direttamente coinvolti dalla crisi. Ma la Vertek rappresenta anche una parte di storia importante per Condove. Prima ancora di essere Vertek, lo stabilimento rappresenta l’intero sviluppo industriale che portò agli inizi del Novecento la Società Anonima Bauchiero a insediarsi in paese, costruendo case, l’ambulatorio, la mensa aziendale, scuole professionali. Ma ha anche alle spalle la storia della Monviso, che nel 1970 fu forse l’unico esempio in Italia in cui gli operai si ribellarono alla fabbricazione di materiale bellico obbligando la direzione a cessare quella produzione. Ora come ora, la speranza è di trovare un nuovo fornitore. Altre forme di gestione o di riconversione restano vie difficili da percorrere.
M.B. 31.07.14
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